Non sono un fan sfegatato dei film di Ferzan Özpetek: ma i primi due, di ambientazione turca/ottomana (Il bagno turco e Harem Suare), li ho apprezzati e recensiti sul blog. Ho allora pensato di fare lo stesso col suo primo libro, Rosso Istanbul: me lo sono fatto spedire dalla casa editrice e l’ho letto tutto di un fiato, dopotutto è un libricino di un centinaio di pagine. Però volevo quasi quasi lasciarla perdere, la recensione: il mio giudizio è sostanzialmente negativo, non mi andava di infierire; però, è anche vero che – in quanto appassionato ed esperto di libri – spesso mi viene chiesto “cosa possiamo leggere su Istanbul?“: e anche sapere cosa non vale la pena leggere – tra l’altro, al costo non proprio competitivo di € 16.50 – può risultare utile.
Innanzitutto, Rosso Istanbul NON è un romanzo! Non lo dico io, non è una mia interpretazione ma un fatto: è la Mondadori che lo considera “non fiction” – categoria “Biografie e memoir” – e l’ha fatto uscire nella collana “Strade Blu Saggi”. Una parte romanzata però c’è. Il libro di Özpetek è infatti un ibrido – ed è questo il suo peccato originale, magari suggerito da qualche editor della casa editrice – tra due parti parallele, a mio avviso mal assortite e che s’intrecciano in modo assolutamente forzato e innaturale. La prima è quella più convincente: sono riflessioni e ricordi – tra presente e passato – sulla morte, la famiglia, gli affetti, la città; ci sono anche squarci sul modo di lavorare del regista. Personalmente avrei consigliato a Özpetek di limitarsi a questa impostazione, sviluppando i vari spunti in modo compiuto: il risultato sarebbe stato un libro più denso e più ammaliante (ah, però ho scoperto che è un quasi mio vicino di casa: la residenza di famiglia è a Kalamış, in riva al mare di Marmara).
Qualche passaggio letterariamente apprezzabile in effetti c’è,a ma rimane senza seguito:
Forse è per questo, soprattutto, che tengo nel portafogli una vecchia cartolina. Una foto in bianco e nero di Istanbul, col bordo smerlato. Si vedono le cupole della Moschea Blu e di Santa Sofia, la curva d’acqua del Bosforo, e lontano, molto lontano – solo lo sguardo di chi ama la può riconoscere – si intravede la mia casa, l’antica villa bianca. Sul retro, la scrittura elegante e sicura di mio padre, con la sua stilografica, che non ha abbandonato mai. Ha scritto solo una data: 1963.
Per me Istanbul è, invece, una città a colori. Il blu della Moschea di Rüstem Pasha, avvolta di maioliche di Iznik, in Anatolia, dove sono state create e modellate. E l’azzurro di certe giornate in cui il cielo ti fa venir voglia di diventare aquilone.
Istanbul è il blu e rosso, che paiono riuscire a fondersi solo in certi tramonti sul Bosforo. E il rosso, il rosso dei carrettini dei venditori ambulanti di simit: le ciambelle calde ricoperte di sesamo che sono la prima cosa che compro quando arrivo. Il rosso fiammante dei vecchi tram: oggi ne è rimasto solo uno, con cui i turisti attraversano il cuore della città [in realtà, c’è anche quello di Kadıköy e Moda]. Il rosso-arancio con cui erano decorati i piattini del tè che una volta ti porgevano nei kahve: tè bollente, servito nei bicchieri di vetro. Il rosso dello smalto sulle unghie di mia madre, lei che ha sempre amato i colori pallidi, delicati. Il rosso della tuta Adidas che mi ha chiesto in regalo, e che le porto in valigia; lei che ricordo sempre solo in tailleur, tailleur grigi, carta da zucchero. Ma ora è il rosso che vuole, è il rosso a renderla felice.
La seconda, che alla prima s’intreccia in modo forzato e palesemente inverosimile (fino ai fantasmi finali), è quella romanzata: due coppie d’italiani a Istanbul in vacanza e a caccia d’affari, i cui rispettivi rapporti esplodono e si rimescolano per mano del Fato sullo sfondo delle proteste del parco Gezi a giugno e luglio. Purtroppo, personaggi ed eventi sono trattati in modo banale e superficiale, con aggiunta di radicale manicheismo – i buoni contro i cattivi – nel dar conto della realtà politica. La sensazione è di avere nello stesso testo due “io-narrante”: quello radicato e consapevole della prima parte, quello di passaggio – lì per caso – della seconda. Peccato.
Ferzan Özpetek, Rosso Istanbul
(Mondadori, 2013)
120, pp., €16,50