Non pensavo che ne avrei parlato qui sul blog, ma ho una citazione che vale un post intero e non posso evitare di farlo. Mercoledi’ sera, sono andato infatti a una conferenza a palazzo Venezia: la residenza istanbuliota dell’ambasciatore italiano normalmente ad Ankara, già ambasciata della Serenissima e poi dell’Impero austro-ungarico; si trova nel quartiere di Beyoğlu e vale la pena ammirarlo anche da fuori: ma sempre più spesso ospita – al suo interno – manifestazioni culturali e di vario genere (compresa la festa di Carnevale in maschera, giunta quest’anno alla seconda edizione). L’occasione, una conferenza sull’architetto italo-levantino Giulio Mongeri: attivo nella prima parte del XX secolo, autore celebrato di importanti edifici.
L’ambasciatore Scarante, veneziano, ha raccontato un aneddoto formidabile: perché in gioventù – a Venezia – gli è capitato di prendere lezioni private di francese da Alda Mongeri, figlia di Giulio. “Da lei ho cominciato a conoscere l’Istanbul autentica, di cui parlava come ‘la misura di tutte le cose’: non l’Istanbul delle cartoline con le moschee”. Questo è un monito che trasformo in invito per tutti: non fermatevi a Sultanahmet, anche con poco tempo a disposizione – ma con una buona cartina o ancor meglio con una buona guida – Istanbul può riservare moltissime sorprese e rivelarsi per quello che è, non un luogo esotico ma una metropoli già cosmopolita e oggi proiettata nella modernità.
Nel corso della conferenza, si sono alternati – presente la nipote dell’architetto, che ne custodisce quel che rimane dell’archivio – ricordi personali di due levantini e analisi accademiche di due studiosi importanti (architetti e italofoni!); durante tutto il tempo, sono state proiettate immagini inedite: disegni, foto, documenti vari. Mongeri nacque a Istanbul, studiò architettura a Brera, tornò in riva al Bosforo per restarci (è morto a Venezia, è sepolto a Milano). Un tipico italo-istanbuliota, italiano di Istanbul: uno degli “europei di cultura orientale” (la definizione è del professor Ilber Ortaylı, storico); Fortunato Maresia, uno dei due relatori italo-levantini, ha spiegato che Mongeri viveva “non tra i turchi, ma con i turchi”.
E’ un mondo affascinante che ormai sta scomparendo: e di cui, purtroppo, si è sostanzialmente già persa la memoria. Mongeri ha costruito edifici importanti, soprattutto pubblici. Uno lo vede chiunque venga a Istanbul, ma sono sicurissimo che praticamente nessuno ne conosce l’autore: anche io l’ho scoperto solo dopo, quando mi sono trasferito qui e ho cominciato ad interessarmi ai levantini. Parlo di Karaköy Palas, il grande edificio in stile “neo-bizantino” – praticamente all’imbocco del ponte di Galata – che oggi ospita la banca Yapı Kredi e che verrà trasformato in albergo di lusso (come la ex sede non lontana delle Assicurazioni Generali, del resto).
Mongeri ha costruito banche, uffici postali, palazzi di ogni tipo, la chiesa di Sant’Antonio sull’Istiklal Caddesi in stile gotico-lombardo, l’ambasciata d’Italia oggi consolato generale. Molti altri suoi edifici sono però sconosciuti: esistono ancora, ma si è persa la memoria del suo autore; Mongeri era un architetto molto eclettico, ogni sua opera ha uno stile tutto suo ed è difficile riconoscerli: ma il professor Cengiz Can, ad esempio, assegna tesi di master e dottorato sperando che i suoi allievi – in archivi pubblici e privati – riescano a scovare preziose informazioni.
Sugli architetti italiani e italo-levantini che hanno lavorato a Istanbul e in Turchia in epoca ottomana l’ambasciata e l’istituto di cultura hanno organizzato un grande convegno internazionale, l’8 e 9 marzo: un’occasione imperdibile per saperne di più. Io, più che altro, auspico che vengano prese iniziative più concrete per la salvaguardia di questo patrimonio storico, spesso oggetto di restauri abusivi e di veri scempi: magari facendo in modo che sui vari edifici compaiano dei pannelli identificativi e informativi, così da creare dei veri e propri itinerari di visita.